03 febbraio 2005

L'amico Malpelo porta alla mia attenzione un'interessante articolo di
Vittorio Martinelli "LO SBARCO IN SICILIA NEL 1943 - Gli USA e la
mafia" che chiarisce quale sia il prezzo che tuttora paghiamo agli usa
per "averci liberato dal fascismo".

Nei primi dieci mesi di guerra i sommergibili tedeschi
affondarono nei pressi delle coste dell'Atlantico cinquecento navi
statunitensi; era chiaro che venivano riforniti di viveri e di nafta da
spie e traditori; marina e controspionaggio si dimostrarono impotenti.
Il controspionaggio ebbe l'idea di ricorrere ai servigi della mafia,
con la mediazione di Salvatore Lucania (detto “Lucky Luciano”) che
stava scontando una condanna a 15 anni. I fratelli Camardos e Frank
Costello, con la loro organizzazione mafiosa, riuscirono dove le
strutture ufficiali avevano fallito: I'attività filo-nazista fu
stroncata.

Da cosa nacque cosa. Abrogati nel 1942 i “decreti Mori” parecchi
mafiosi ritornati in Sicilia avviarono contatti con gli “Alleati” che
incominciarono ad arruolare uomini d'origine siciliana. A mezzo dei
pescherecci, i mafiosi esercitarono lo spionaggio nel Mediterraneo; poi
fornirono notizie sulle infrastrutture dell'isola, la dislocazione e la
consistenza delle truppe dell'Asse in Sicilia. Del resto perché gli
Alleati iniziarono l'invasione dell'Europa meridionale dalla Sicilia,
anziché dalla Sardegna o dalla Corsica, dalle quali sarebbe stato
agevole effettuare sbarchi in Toscana, Liguria o Provenza?

La tranquillità nelle retrovie delle truppe che sarebbero sbarcate
costituiva la preoccupazione principale dei comandi alleati: fu scelta
la Sicilia con la certezza di poter contare, sull'appoggio della mafia.
Fu quest'ultima ad ospitare dal 1942 il colonnello Charles Poletti,
futuro governatore militare, dall'aprile 1943 il colonnello britannico
Hancok e un buon numero d'infiltrati italo-americani.

Dalla relazione conclusiva della Commissione antimafia presentata
alle Camere il 4 febbraio 1976: “Qualche tempo prima dello sbarco
angloamericano in Sicilia numerosi elementi dell'esercito americano
furono inviati nell'isola, per prendere contatti con persone
determinate e per suscitare nella popolazione sentimenti favorevoli
agli alleati. Una volta infatti che era stata decisa a Casablanca
l'occupazione della Sicilia, il Naval Intelligence Service organizzò
una apposita squadra (la Target section), incaricandola di raccogliere
le necessarie informazioni ai fini dello sbarco e della “preparazione
psicologica” della Sicilia. Fu così predisposta una fitta rete
informativa, che stabilì preziosi collegamenti con la Sicilia, e mandò
nell'isola un numero sempre maggiore di collaboratori e di informatori.
Ma l'episodio certo più importante è quello che riguarda la parte avuta
nella preparazione dello sbarco da Lucky Luciano, uno dei capi
riconosciuti della malavita americana di origine siciliana.

Si comprende agevolmente, con queste premesse, quali siano state le
vie dell'infiltrazione alleata in Sicilia prima dell'occupazione. Il
gangster americano, una volta accettata l'idea di collaborare con le
autorità governative, dovette prendere contatto con i grandi capimafia
statunitensi di origine siciliana e questi a loro volta si
interessarono di mettere a punto i necessari piani operativi, per far
trovare un terreno favorevole agli elementi dell'esercito americano che
sarebbero sbarcati clandestinamente in Sicilia per preparare
all'occupazione imminente le popolazioni locali. “Luciano” venne
graziato nel 1946 “per i grandi servigi resi agli States durante la
guerra”. E un fatto che quando il 10 luglio 1943 gli americani
sbarcarono sulla costa sud della Sicilia, raggiunsero Palermo in soli
sette giorni. Scrisse Michele Pantaleone: “...è storicamente provato
che prima e durante le operazioni militari relative allo sbarco degli
alleati in Sicilia, la mafia, d'accordo con il gangsterismo americano,
s'adoperò per tenere sgombra la via da un mare all'altro...”.

Ancora la Commissione antimafia: "la mafia rinascente trovava in
questa funzione, che le veniva assegnata dagli amici di un tempo,
emigrati verso i lidi fortunati degli Stati Uniti, un elemento di forza
per tornare alla ribalta e per far valere al momento opportuno, come
poi effettivamente avrebbe fatto, i suoi crediti verso le potenze
occupanti”.

Scrisse Lamberto Mercuri: “fu in quei mesi che la mafia rinacque e
non tardò ad affacciarsi alla luce del sole: in realtà non era mai
morta, né completamente debellata: le lunghe ed energiche repressioni
del prefetto Mori ne avevano sopito per lungo tempo ardore e vigoria e
fugato all'estero i capi più “rappresentativi” e più spietati che
avevano tuttavia mantenuto contatti e legami con l'onorata società
dell'isola”.

Nella confusione seguita all'invasione e alla caduta del Fascismo,
la mafia vide l'opportunità di riorganizzare il vecchio potere, di
insinuarsi nel vuoto del nuovo, raccogliendo i frutti della
collaborazione con gli alleati. Molti suoi uomini noti ebbero cariche
importanti: per esempio, un mafioso celeberrimo, don Calogero Vizzini,
fu nominato da un tenente americano sindaco di Villalba; nella
cerimonia d'insediamento, fu salutato da grida di “Viva la mafia!”.

“Vito Genovese - scrisse Mack Smith - benché ancora ricercato
dalla polizia degli Stati Uniti in rapporto a molti delitti compreso
l'omicidio, e sebbene avesse servito il fascismo durante la guerra,
risultò stranamente essere un ufficiale di collegamento di una unità
americana. Egli utilizzò la sua posizione e la sua parentela con
elementi della mafia locale per aiutare a rastaurarne l'autorità...”.

Divenne il “braccio destro indigeno” del governatore Poletti, ma
una banda ai suoi ordini rubava autocarri militari nel porto di Napoli,
li riempiva di farina e zucchero, (pure sottratti agli alleati) che
vendeva nelle città vicine. Altri mafiosi, meno noti, divennero
interpreti o “uomini di fiducia”. L'atteggiamento del Governo militare
fu ispirato a criteri utilitaristici; sta di fatto, però, che
quest'apertura verso gli “amici degli amici” permise in breve alla
mafia di riorganizzarsi, di riacquistare l'antica, indiscussa
influenza. Aveva sempre cercato l'alleanza con il potere (anche con
quello fascista, agl'inizi) ma per la prima volta le veniva conferito
un crisma di legalità e di ufficialità che le consentiva
d'identificarsi con il potere. I “nuovi quadri” saldarono o ripresero
solidi legami con la malavita americana, indirizzandosi verso il tipo
di criminalità associata “industriale” caratteristico del gangsterismo
USA nel periodo tra le due guerre.

Sul numero di aprile di "Volontà" ho riepilogato le vicende della
lotta - vittoriosa - condotta dal Fascismo contro la mafia. Il seguito
della vicenda dimostra come, grazie agli anglo-americani, la seconda
guerra mondiale rappresentò per la mafia l'occasione d'oro per una
rigogliosa rinascita, come i fatti hanno dimostrato ampiamente.

Si suol dire oggi, da chi intende sminuirne il successo, che il
Fascismo non debellò la mafia, semplicemente la costrinse all'inazione,
tant'è vero che poi si ridestò più forte di prima. Se fu poco, perché
il regime attuale non perviene al medesimo risultato? Basterebbe. Senza
più delitti ed attività criminale, la mafia si ridurrebbe ad una
patetica, folcloristica conventicola segreta che non darebbe noia e non
farebbe più paura a nessuno.

iZ

Nessun commento: