30 novembre 2005

…raccontare genova…
ancora.
la doccia gelata della verità. governati da un sistema che un giorno si toglie la maschera, e mostra il suo occhio mostruoso, incarnato in un esercito di picchiatori.
il dissenso non è permesso. messaggio chiaro. ordine chiaro.
è morto carlo giuliani e molti di noi sono stati puntati dai mitra sopra camionette in corsa. sirene. elicotteri. un movimento forsennato di soldati dopati. sostanze o i loro stessi ormoni. un’animalità atavica, invitata a nozze.
i black block erano un branco di stronzi pilotati. aprivano la strada alle orde di picchiatori.
erano solo quello, picchiatori, e un assassino.
la forma di violenza più semplice ed efficace: io ti spacco le ossa. e tu hai paura. una volta che hai preso le botte impari la lezione. e righi dritto.
le botte bisogna metabolizzarle, elaborare il trauma. per un po’ te ne starai zitto.

il silenzio. solo quello ricordo del viaggio in treno di ritorno.
il silenzio attonito.
e le lacrime. silenziose. sui nostri volti.

di genova ricordo il viaggio di andata. un fermento passionale, una motivazione grande, qualche tensione, qualche discussione, qualche indecisione, un enorme punto interrogativo su quello che ci aspettava.
eravamo tutti pronti. a difenderci coraggiosamente e a difendere il mondo in agonia.

genova non ci ha sorriso. e non ci ha potuto difendere.
abbiamo dormito sulla terra bagnata sotto un tendone con mille aperture sotto la pioggia. ci siamo svegliati forti. ci siamo incamminati. il delirio è cominciato subito. si erano aperte le danze. i lacrimogeni invadevano tutta l’aria, la nostra prima fuga. ed eravamo ancora lontani dalla zona rossa, eravamo ragazze e ragazzi, con uno zaino. il percorso era già incendiato dal gruppo di cui sopra che segnava il passo alla repressione.

il resto è un ricordo confuso sui percorsi isterici che eravamo costretti a fare perché braccati da varie parti. dietro l’angolo una carica possibile, predeterminata.
corri su, corri giù, prova di qua, no, di qua no, via, sali di qua, gira di qua, carica, salta giù, non farti male, respira nel fazzoletto, non perdere i tuoi amici, la forza.
ci hanno fatto sentire topi. gli elicotteri erano l’occhio che dirige il braccio. noi i topi.
quanto è stato umiliante alzare le braccia.
ma li guardavamo in faccia.

è morto carlo giuliani. era un ragazzo delicato. e dignitoso.
siamo riusciti la sera a vedere un telegiornale rivoltante con un rivoltante silvio berlusconi. poi un’altra notte nella terra bagnata.
il giorno dopo ci siamo sempre tenuti tutti per mano, resistevamo alla disgregazione, non ci mollavamo un attimo con lo sguardo, una reciproca grande attenzione,non perdersi. in nessun caso. eravamo pronti a tutto l’uno per l’altro.
c’era molto caldo. la città era disertata dai genovesi, non si trovava da bere, c’era un caldo che seccava la gola e non ci fermavamo mai. mai ci siamo fermati da quando siamo arrivati a quando siamo partiti.

perché siamo partiti.
quando tutto era tristemente finito, in realtà sfumato, verso sera, siamo andati alla scuola diaz. avevamo là le nostre cose. poteva essere un riparo, il riposo, lo sguardo svuotato. ma non ci siamo fermati. siamo andati a cercare di prendere il primo treno che ci portasse via da lì.

siamo arrivati nel giardino di fronte la stazione, abbiamo aspettato che arrivassero altri che prendevano lo stesso treno, potevamo stenderci sull’erba ma…
…a sirene spiegate, colonna sonora ininterrotta da due giorni, sono arrivati decine di cellulari e la banda minacciosa è scesa al completo. circondati ad anello. ho temuto per l’ultima volta per le ossa della mia faccia e, con gli altri, senza perderci di vista, ci siamo incamminati verso l’entrata della stazione. muti.





alicesud
dopo aver rivisto "bella ciao".

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